lunedì 31 maggio 2010

Ideal Standard

COMUNICATO STAMPA



Oggi 31/05/2010 presso lo stabilimento dell’Ideal Standard Industriale srl di Brescia di è riunita la R.S.U. alla presenza delle segreterie territoriali di categoria e hanno fatto il punto della situazione in relazione alla vertenza dell’Azienda.

Ad oggi i lavoratori ancora in forza all’ideal standard di Brescia sono 69 a fronte di uscite volontarie pari a 50 dipendenti frutto dell’applicazione di una parte dell’accordo nazionale mentre sulla restante applicazione dell’accordo registriamo in modo preoccupato il silenzio di questi mesi delle istituzioni e dell’azienda in riferimento al progetto di realizzazione del sito logistico presso “la Piccola” .

Questi ritardi a nostro giudizio mettono in pericolo l’attuazione del progetto stesso e mettono a rischio la ricollocazione dei lavoratori secondo le modalità previste dall’accordo stesso.

La firma del protocollo che aveva di fatto chiuso la vertenza dopo mesi di presidio e occupazione dello stabilimento di Brescia prevedeva come unica soluzione la ricollocazione del personale presso la nuova piattaforma logistica da realizzarsi in zona Piccola.

Richiediamo immediatamente la ripresa del tavolo istituzionale locale nel quale ci attendiamo risposte definitive sia a riguardo del progetto sia a riguardo dei tempi di realizzazione. Fin da ora ci riserviamo in assenza di risposte soddisfacenti di intraprendere iniziative collettive con i lavoratori a tutela degli interessi degli stessi riproponendo forme di lotta già sperimentate durante il presidio.

R.S.U. Ideal Standard
FILCTEM – FEMCA - UILCEM

domenica 30 maggio 2010


giovedì 20 maggio 2010

mercoledì 5 maggio 2010

Intervento al convegno: Donne e migrazioni

Donne Migranti


Affermarsi in una società come lavoratrice, madre e compagna vuol dire sapere conciliare i propri spazi con la propria funzione.
Se ancora oggi le donne italiane s’interrogano sullo stato di attuazione delle pari-opportunità, per le donne immigrate il compito è molto più difficile.
Lasciare il proprio paese e gli affetti è doloroso per cui l’emigrazione diventa è per le donne immigrate l’unico mezzo per poter realizzare i progetti, che non possono essere portati a compimento nei paese d’origine, per il ricongiungimento familiare o semplicemente per sopravvivere
Munite di tanti progetti e speranze arrivano in occidente dove la loro collocazione è sicuramente nell’ambito del lavoro domestico. Sembra un destino. Quali che siano i loro livelli di istruzione, le esperienze professionali pregresse, le competenze, le capacità e le aspirazioni, la società italiana stenta ad offrire alle donne immigrate occupazioni diverse da quelle di collaboratrice familiare.
I loro bagagli di esperienze , titolo di studio, competenze e saperi diventano poco spendibili e tutto va conservato in un posto che non ingombri aspettando un’occasione o gente di buona volontà che grazie all’erogazione dei finanziamenti del fondo sociale europeo può aiutarle a riprogettare il loro futuro professionale e sociale, a diventare per esempio imprenditrice ( cooperative di pulizie o di assistenza agli anziani )
Senza alcun dubbio, il lavoro domestico e di cura , soprattutto se fisso genera reddito, aiuta a vivere e a concretizzare certi progetti. Questi lavori rappresentano una necessità e allo stesso tempo una grande risorsa del sistema pensionistico dei paese di destinazione e garantiscono, attraverso rimesse, un aiuto allo sviluppo delle società di origine. Ma il costo è sicuramente elevatissimo. Lavorare fisso presso una famiglia comporta delle privazioni: scarsa disponibilità di privacy e tempo libero, andando così a ledere la sfera personale, psicologica ed emotiva; spesso si passa da un ruolo attivo, riconosciuto, propulsore nella propria famiglia, a un ruolo di subordinazione, che implica automaticamente la negazione di una parte di sé.

Sempre più numerose, si incontrano per strada o alla fermata dell’autobus da sole o a piccoli gruppi; a volte si vedono sedute insieme, in tante, sulle panchine di un giardino pubblico, assorte, in attesa di chissà cosa; per lo più vivono nelle case dove lavorano, crescono i figli e li accompagnano a scuola, cucinano e accudiscono gli anziani. Senza di loro, quello che viene definito come “strategie di conciliazione” tra i molti lavori fuori e il disbrigo delle faccende domestiche, per molte delle donne non sarebbe possibile, o comunque diventerebbe molto più faticoso da gestire. Eppure non sono conosciute veramente. Ci sono luoghi dove ascoltarle? Di cosa parlare con loro?
L’opinione pubblica attribuisce alle donne immigrate gli concetti di visibilità estrema ( prostituta) o di invisibilità totale (serva) , con tutta la carica negativa che viene data a queste categorie rendendo cosi il percorso di emancipazione difficile e complesso, tanto più che quell’immagine tende a prevalere sia al livello istituzionale che in quello dei rapporti personali. Sono evidenti le difficoltà di chi individualmente vuole emergere e mettere a frutto i propri studi e competenze per rendersi visibili in una invisibilità preconcetta, in una realtà in veloce cambiamento, dove si vede donne migranti a capo di famiglie, apportatrici di reddito, impegnate a costruire realtà imprenditoriali. Contro la visione stereotipata, le donne straniere titolari di imprese rappresentano il 17% di tutti i titolari di impresa e sono anche lavoratrici attive nei bar e ristoranti etnici, negli alberghi e nel ramo estetico. Inoltre è ricomparsa, nell’ambito di cura retribuito la donna italiana di mezza età espulsa dal mercato del lavoro industriale.
Entrare nel cuore di progetti migratori significa conoscere la realtà delle donne immigrate. I progetti migratori, da temporanei tendono a diventare di lunga durata. In questo caso cambia notevolmente l’interazione tra l’immigrato e il contesto sociale in cui è inserito, cambiano anche le politiche che bisogna dispiegare. Effettivamente quando si tratta non più solo di immigrazione temporanea e solo legata al lavoro, ma di nuclei familiari, entrano in scena nuovi soggetti sociali che condivideranno non soltanto l’ambiente di lavoro, ma anche quello di vita, la scuola dei figli, l’utilizzo dei servizi sociali e delle strutture sanitarie. Compaiono nuovi bisogni e nuove richieste, e si crea una maggiore interazione con il contesto, con il sistema delle risorse e dei servizi. Però bisogna tenere presente che con l’aumento dell’ immigrazione stabile o definitiva nascono anche i primi conflitti di identità, le prime reazioni da parte della società ospitante, i primi veri problemi di stabilità e di mutamento, di inserimento e comunicazione tra culture diverse.
Sicuramente la donna appare come l’interlocutore principale all’interno della società di accoglienza. Riveste un ruolo di mediazione, sapiente e istintiva, maturata con l’esperienza che andrebbe valorizzato e salvaguardato anche contro qualsiasi pregiudizio. Attraverso loro si giocherà la riuscita di un integrazione tra culture. La donna immigrata dovrebbe prendere l’impegno di occuparsi della propria salute, superando ogni sorta di condizionamento culturale legato al paese d’origine, superando le discriminazioni e le paure, utilizzando il diritto riconosciuto alla salute dalla costituzione Italiana. La mancanza di tale impegno crea una serie di problematiche, come il non corretto iter terapeutico assistenziale durante una gravidanza, il ricorso all’aborto come metodo di contraccezione. E’ imperativo entrare nell’ottica della prevenzione: fare il pap-test o altri esami anche di routine. Riconoscere il proprio diritto ad essere assistita con la stessa attenzione di una qualsiasi altra paziente, per superare le superficialità discriminanti nell’ambito dei trattamenti sanitari. E’ altrettanto importante permettere ad una donna musulmana di scegliere un medico donna.
Associarsi tra donne immigrate e donne italiane per intraprendere una strada comune, parte da l’esperienza di essere donne in ogni società e di dovere sempre lottare, sicuramente con strumenti diversi per l’approvazione dei propri diritti e di partecipazione piena in tutti i campi della società. Valorizzare esperienze che hanno in comune non le fa tuttavia uguali. Non hanno gli stessi diritti né le stesse opportunità, anche le priorità e le prospettive sono diverse. Dobbiamo solo noi donne di qualunque sia la nostra provenienza lavorare insieme in modo proficuo riconoscendo le disparità sociale e economiche, però riscattando i valori come altruismo, la solidarietà, il bene comune, la condivisione e l’umanità per la costruzione di un mondo migliore per il futuro dei nostri figli.
Felicite Ngo Tonye

domenica 2 maggio 2010